• Autore:   Elia Argentieri
  • Ultima modifica:   23 lug 2021 23:35
  • Redazione:   5 mag 2019 17:36
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  • Tempo di lettura:   20 minuti

Questo articolo arriva con diversi mesi di ritardo… meglio tardi che mai!

La coltura idroponica (dal greco antico ὕδωρ hýdor, acqua + πόνος pónos, lavoro) è una tecnica di coltivazione senza suolo. La pianta viene sostenuta da un substrato inerte (argilla espansa, lana di roccia, perlite, vermiculite, fibra di cocco, zeolite), mentre le radici sono a contatto con una soluzione nutritiva.

Questa tecnica è nota da millenni, infatti i giardini pensili di Babilonia e i giardini galleggianti degli Aztechi possono essere considerati una forma primitiva di idrocoltura (idroponica passiva).

Tuttavia i primi sistemi idroponici moderni si diffusero non prima degli anni ‘30, grazie a William Frederick Gericke che per primo riuscì a coltivare alcuni pomodori senza usare suolo, nel cortile di casa sua. Gericke era ricercatore all’Università di Berkley, ma quest’ultima era molto scettica della valenza della scoperta di Gericke, così, nel 1933, incaricò Hoagland e Snyder di dimostrare che l’idroponica non era superiore alla coltura tradizionale.

Ne risultò quella che oggi è chiamata soluzione di Hoagland, una soluzione nutritiva adatta a coltivare un gran numero di specie di piante diverse. La soluzione di Hoagland fu rivisitata nel 1950 da Arnon e Hoagland e questa versione è ancora in uso oggi.

Idroponica: vantaggi e svantaggi

I vantaggi di questa tecnica sono un maggior controllo sullo sviluppo della pianta, crescita più rapida e raccolto più abbondante in ogni momento dell’anno, mantenendo costante la qualità della produzione e riducendo significativamente lo spreco di acqua e fertilizzanti.

L’idroponica accelera il metabolismo della pianta, riducendo i tempi di fioritura e maturazione poiché tutto ciò che serve alla pianta è sempre disponibile nella soluzione nutritiva nella quale sono immerse le radici.

Nella coltura tradizionale la maggior parte dell’acqua evapora o si disperde nel terreno fino a raggiungere le falde acquifere. In agricoltura i fertilizzanti, che siano bio o “chimici” (tutto è chimica…), possono inquinare le suddette falde acquifere che a loro volta possono raggiungere laghi o fiumi. I fertilizzanti contengono grandi percentuali di azoto e fosforo (fondamentali per lo sviluppo delle piante). Se queste sostanze raggiungessero un lago in concentrazioni elevate, si altererebbe l’intero ecosistema, permettendo ad alghe e batteri di svilupparsi fino a consumare tutto l’ossigeno disponibile, portando alla morte di tutti i pesci. Questo fenomeno è conosciuto come eutrofizzazione. L’idroponica, se adeguatamente implementata, può eliminare questo problema in quanto richiede meno fertilizzanti e la soluzione è contenuta, quindi non si disperde.

È possibile implementarla all’aperto (outdoor) oppure al chiuso (indoor). La versione indoor offre alcuni vantaggi come la resistenza al meteo, il controllo delle infestazioni, della temperatura, dell’umidità e così via. Una coltivazione indoor viene realizzata in serre, capannoni, stanze, sul tetto di un grattacielo o convertendo ex fabbriche di semiconduttori come fa la Fujitsu in Giappone.

Tuttavia un ambiente chiuso e, quindi buio, si rende necessaria l’illuminazione artificiale mediante lampade ultraviolette che riproducono la radiazione solare, comportando un notevole costo iniziale e ricorrente (anche usando moduli fotovoltaici il problema sussiste). Se è vero che il Sole è gratis ed emette tutte le frequenze necessarie, visto che le piante si sono evolute sfruttando il Sole, purtroppo è anche vero che il Sole non sempre è disponibile. Quindi ci tocca trasformare la luce in energia elettrica per poi riportarla in luce uniforme e costante per tutte le nostre piante nella serra idroponica. È molto costoso e poco efficiente… sicuramente un problema non banale.

Un altro vantaggio per i grandi impianti idroponici è la possibilità di installare sistemi verticali, per aumentare la resa per metro quadro disponendo le piante su vassoi o tubi uno sopra all’altro.

Non è difficile immaginarsi un futuro nel quale questi sistemi verticali verranno installati in ogni città o addirittura in ogni quartiere, permettendo la produzione in loco di cibo di alta qualità, abbattendo i costi e l’inquinamento dovuti ai trasporti.

Strane credenze

Molte persone credono che la pianta abbia bisogno della Madre Terra e di tanto amore per crescere. In realtà sono sufficienti parametri fisici ben regolati, come temperatura, radiazione elettromagnetica visibile e ultravioletta e sostanze nutritive.

Purtroppo però, queste credenze metafisiche sono talmente radicate che i prodotti da agricoltura idroponica non sono considerati bio, nonostante la necessità di diserbanti sia pari a 0 e quella di antiparassitari sia fortemente ridotta, vista l’assenza del terreno che è il principale vettore d’attacco per i patogeni. Inoltre, se le piante vengono coltivate al chiuso, anche i patogeni aerei saranno fortemente ridotti, consentendo un raccolto più abbondante senza pesticidi.

Nel futuro (o forse già adesso?) potremmo addirittura uccidere gli insetti che si intromettono nella nostra fabbrica idroponica tramite ultrasuoni, riducendo l’uso di pesticidi al minimo. Rimarrebbero solo batteri e virus, eliminabili filtrando l’aria in ingresso e mantenendo alti standard di igiene.

Tipi di sistemi idroponici

Ad oggi esistono molte tecniche, più o meno sofisticate. Eccone alcune:

Statico o metodo di Kratky

Le radici delle piante sono immerse soltanto parzialmente nella soluzione. La soluzione non è areata perché questo metodo non prevede pompe o areatori, quindi le radici devono rimanere in parte scoperte per assorbire l’ossigeno. Semplice, ma c’è il rischio di generare ambienti anossici, ottimi per i batteri, pessimi per le piante che soffocheranno. Un altro rischio da non trascurare sono le zanzare che amano i ristagni d’acqua.

Flusso continuo

Le piante crescono su un tubo forato che trasporta continuamente la soluzione nutritiva. Questa tecnica è molto scalabile, ma è poco resistente ai guasti, perché se la pompa si guasta le piante rischiano di appassire molto velocemente.

Nutrient Film Technique (NFT)

Una variante della precedente. La differenza sta nella portata della pompa che deve attestarsi tra 1L/min e 2L/min e nella pendenza del tubo tra 1:1000 e 1:30. Questi parametri garantiscono che la soluzione scorra come un filo sottile tra le radici che restano per metà in acqua e per metà all’aria. Questa tecnica bilancia perfettamente gli elementi richiesti dalle piante: acqua, ossigeno e nutrienti.

Ebb and flow

Cioè a maree. Le radici vengono periodicamente inondate dalla soluzione da una pompa che si attiva con un timer. La frequenza delle maree è utile per bilanciare il rapporto tra ossigeno e nutrienti. Anche questa tecnica non è molto resistente ai guasti, per gli stessi motivi.

Deep Water Culture (DWC)

Le radici sono completamente immerse e l’ossigeno viene fornito da un compressore e diffuso da pietre porose. L’aeratore è fondamentale in questa tecnica, perché altrimenti la pianta appassirebbe molto rapidamente. Questa tecnica è più resistente ai guasti perché un guasto all’aeratore può essere arginato riducendo il livello della soluzione, permettendo alle radici di respirare.

Aeroponica

Funziona in modo simile all’idroponica, ma le piante sono sospese in aria, con le radici penzolanti che vengono periodicamente irrorate con la soluzione nutritiva da alcuni nebulizzatori. I vantaggi sono molti: ulteriore riduzione del consumo di acqua e possibilità di coltivazione senza gravità. Non a caso questa tecnica è stata ricercata dalla NASA negli anni novanta con il programma Controlled Ecological Life Support System (CELSS). Molto probabilmente questa tecnologia sarà fondamentale per i prossimi viaggi spaziali con equipaggio.

Nebbioponica

Una variante dell’aeroponica, nella quale, tramite ultrasuoni, viene generata una nebbia, le cui gocce hanno diametro inferiore a 10 µm. In questo modo le radici hanno ancora più accesso all’ossigeno e alla soluzione contemporaneamente.

Acquaponica

L’unione dell’acquacoltura (allevamento di pesci) con l’idroponica. Si tratta di un metodo che consente di mitigare o eliminare i problemi relativi alla produzione e allo smaltimento della soluzione nutritiva, mediante un ciclo semi-chiuso.

Il ciclo inizia con alcuni pesci che nuotano felici in un acquario mangiando il mangime che gli viene fornito. Dopo aver digerito, i pesci arricchiscono l’acqua di azoto, che viene prelevata e filtrata per poi raggiungere le piante in idroponica. Le piante assorbono i nutrienti, finché la soluzione non si esaurisce e, dopo un altro filtraggio, viene pompata di nuovo nell’acquario, così che il ciclo possa continuare.

Con questo sistema si producono pesci e piante abolendo quasi completamente l’uso di fertilizzanti e, quindi, il rischio di danneggiare l’ambiente. Si tratta di un ciclo semi-chiuso, dove i pesci e le piante vivono in relazione simbiotica. Probabilmente l’acquaponica è più delicata come gestione, perché la salute dei pesci aggiunge altre variabili all’equazione, ma è estremamente efficiente.

La soluzione nutritiva

La soluzione nutritiva contiene macroelementi e microelementi inorganici, in concentrazioni ben definite, così come nella soluzione di Hoagland.

Per saperne di più consiglio vivamente il sito web Science in Hydroponics, che contiene molte informazioni preziose e tecniche all’avanguardia, sempre basandosi sulle ultime ricerche scientifiche del campo.

Macroelementi

I macroelementi sono quelli assorbiti in quantità maggiore dalla pianta e sono:

  • azoto (N)
  • fosforo (P)
  • potassio (K)
  • calcio (Ca)
  • magnesio (Mg)
  • zolfo (Z)

Ogni specie di pianta gradisce concentrazioni diverse di questi elementi, ma in generale i parametri più importanti sono azoto, fosforo e potassio, la cosiddetta concentrazione N-P-K espressa con tre percentuali. Inoltre durante la fase di crescita la pianta ha bisogno di più azoto, mentre in fioritura di più fosforo.

Microelementi

I microelementi sono secondari, ma necessari per piante sane e ben sviluppate. Alcuni di questi sono boro, rame, cobalto, ferro, manganese, zinco e molibdeno. I concimi per terreno tipicamente non contengono molti microelementi perché la pianta ne trova a sufficienza nel terreno, mentre in idroponica vanno aggiunti.

Inoltre, più di recente, è stato scoperto che alcuni silicati sono graditi o addirittura necessari per alcune piante. Il terriccio è ricco di silicati, quindi i nutrienti idroponici dovrebbero aggiungere anche K2SiO3 (silicato potassio), Na2SiO3 (silicato di sodio) o H2SiO3 (acido ortosilicico).

Parametri chimico-fisici

I parametri fondamentali per la soluzione nutritiva adeguata sono il pH e la conducibilità elettrica.

pH

Il pH è la misura della concentrazione di ioni idrogeno e misura l’acidità di una soluzione. Il pH in idroponica dovrebbe oscillare tra 5.5 e 6.5. Al di fuori di questo range, le radici della pianta non sono in grado di assorbire certi elementi, causando carenze nutrizionali.

Alcune piante sono acidofile, gradiscono quindi soluzioni più acide (pH anche fino a 5), mentre altre gradiscono ambienti più basici.

Conducibilità elettrica

La conducibilità elettrica è l’inverso della resistività elettrica e misura l’attitudine con la quale un corpo si lascia attraversare da una corrente elettrica quando immerso in un campo elettrico. L’unità di misura del SI è il Siemens/metro (S/m), ma per l’idroponica potrebbe essere più comodo parlare di µS/cm.

La conducibilità elettrica è anche la misura indiretta della quantità di solidi disciolti nella soluzione o TDS(Total Dissolved Solids), misurata in ppm (parti per milione). L’acqua pura è un isolante, ma diventa velocemente un ottimo conduttore aggiungendo dei sali. Perciò molti conduttivimetri mostrano la lettura in ppm (parti per milione). In realtà è una semplice conversione che utilizza un coefficiente di proporzionalità che può variare da produttore a produttore. Per questo motivo è bene parlare di conducibilità elettrica in S/m o µS/cm, piuttosto che di un valore che stiamo solo misurando indirettamente, basandoci su varie assunzioni fatte dal produttore.

Tipicamente la conducibilità elettrica di una soluzione idroponica parte dai 600 µS/cm quando la pianta è giovane, fino ai 3000 µS/cm, alcune piante possono “bere” da soluzioni più concentrate, altre appassirebbero. Infatti una soluzione troppo concentrata o ipertonica altera l’equilibrio idro-salino facendo appassire la pianta che si ritrova a dover combattere la pressione osmotica sulle radici. Viceversa una soluzione ipotonica, non danneggia troppo la pianta se non per il fatto che ha accesso a meno elementi e quindi una crescita rallentata.

Pressione osmotica

La pressione osmotica è il fattore chiave di una soluzione nutritiva idroponica, purtroppo però è molto costoso misurarla direttamente con un osmometro. Pertanto accettiamo la misurazione della conducibilità elettrica come parametro guida, che in pratica risulta molto efficace. Tuttavia bisogna ricordare che non tutto ciò che si scioglie in acqua ne altera la conducibilità, quindi una soluzione potrebbe essere anche più ipertonica di quanto non ci faccia credere il conduttivimetro.

Ossigeno disciolto (DO)

Un parametro molto importante per la sopravvivenza della pianta è la saturazione di ossigeno della soluzione. È bene sapere che oltre i 35°C la quantità di ossigeno che è possibile disciogliere in acqua scende a circa 6ppm, che è insufficiente nella maggior parte dei casi. Questo assumendo che la soluzione sia ben areata, altrimenti la concentrazione può scendere fino all’anossia e quindi al soffocamento della pianta.

Temperatura

Come detto precedentemente, la temperatura della soluzione è fondamentale per aumentare la quantità di ossigeno che possiamo fornire alle radici della pianta. Una temperatura compresa tra 18°C e 22°C è ottimale in quanto a quantità di ossigeno e resistenza al freddo da parte delle radici.

Potenziale di ossido-riduzione (ORP)

Il potenziale di ossido-riduzione è la misura della tendenza di una sostanza di acquisire o perdere elettroni, e quindi di essere ossidata o ridotta e si misura in volt V o millivolt mV.

In idroponica questa misurazione consente di stabilire se l’ambiente è sufficientemente ossidante da mantenere alla larga i vari parassiti, ma non troppo da causare danni alle radici della pianta. Per questo un valore compreso tra 300mV e i 500mV è ottimale per mantenere alla larga batteri e funghi, senza distruggere le radici. Se il valore ORP scende sotto i 300mV, potrebbe essere un’indicazione di carenza di ossigeno disciolto.

Un modo per incrementare l’ORP è usare l’acqua ossigenata o clorinare l’acqua, ricordando però, che il cloro può uccidere molto velocemente una pianta, quindi bisogna essere molto attenti alle dosi.

Concentrazione dei sali

C’è anche da dire che la pianta potrebbe non assorbire in modo perfettamente omogeneo la soluzione, portando a degli sbilanciamenti e accumuli di sali sulle radici della pianta. È buona pratica, quindi, cambiare regolarmente la soluzione nutritiva.

Alternativamente sarebbero necessarie analisi di laboratorio per stabilire i sali carenti, in modo da poterli reintegrare correttamente e recuperare la soluzione. Questo ha senso, ovviamente, soltanto nei grandi impianti commerciali idroponici.

I miei esperimenti idroponici

È possibile, tramite un piccolo investimento, provare l’idroponica a casa.

Ci sono molti siti specializzati dove si trovano moltissime informazioni.

Questi sono gli strumenti a mia disposizione:

  • Filtro a osmosi inversa da 190l/h (60€). Purtroppo l’acqua dell’acquedotto, dalle mie parti non è adatta alla coltivazione idroponica, seppur sia potabile. È clorinata e ricca di sodio, 2 elementi molto tossici per le piante. Inoltre è un’acqua molto dura, per cui è difficile regolarne il pH e ci vorrebbero nutrienti personalizzati per evitare di sbilanciare le proporzioni dei sali. L’unico modo che ho trovato funzionante è l’osmosi inversa. Peccato però che 3/4 dell’acqua vanno sprecati nel processo…
  • Adwa AD12 piaccametro digitale con risoluzione ±0.01pH e correzione automatica della temperatura (~35€). Forse però convengono di più le cartine tornasole, perché lo strumento non sembra essere molto accurato e richiede costose soluzioni di stoccaggio e pulizia per poter funzionare per più di qualche mese, prima di dover sostituire la sonda.
  • Adwa AD31 conduttivimetro digitale con precisione ±1µS/cm e correzione automatica della temperatura (~35€). Questo strumento sembra sufficientemente accurato e preciso per gli scopi.
  • GHE pH down dry (5-15€), per abbassare il pH della soluzione apportando ulteriori nutrienti alla soluzione. Il formato in polvere lo rende molto compatto e più sicuro da maneggiare.
  • Bionova pH up: (5-15€) soluzione di idrossido di sodio, una base forte. Successivamente ho saputo dei fertilizzanti contenenti silicio, che essendo basici possono essere usati come pH up. A quanto pare il silicio è un microelemento che rende più resistenti meccanicamente le piante e rafforza le difese anche contro i parassiti che succhiano dalla pianta.
  • Chilli Focus della Growth Technology, specifico per i peperoncini sia a terra che in idroponica (5-10€/L). A quanto pare è molto popolare.
  • Vasi a rete per idroponica (~0,50€ l’uno).
  • Argilla espansa (pochi €)
  • Cubi di lana di roccia (~0,50€ l’uno)
  • Compressore per acquario con pietra porosa (10-20€), utile per ossigenare la soluzione nutritiva. Attenzione: è importante ossigenare la soluzione, altrimenti funghi e batteri faranno marcire le radici della pianta che devono restare belle bianche, non scure. Posso consigliare il compressore Hailea AC0-9602, che ha resistito nonostante il caldo estivo.

Esperimento 0: i peperoni

Esperimento condotto nel mese di Luglio 2017. In realtà è durato pochi giorni…

Abbiamo acquistato alcuni peperoni, abbiamo tolto la terra dalle radici e li abbiamo buttati in acqua, usando come vaso a rete alcuni vasetti di yogurt forati. La soluzione che abbiamo usato era fin troppo semplice: acqua di rubinetto e fertilizzante liquido a caso, tanto quanto basta.

Dopo pochi giorni i peperoni erano in condizioni critiche, ma almeno si sono salvati tornando in terra!

Esperimento 1: i fagioli

Il fallimento del primo esperimento non ci ha assolutamente fermato, anzi. L’esperimento è iniziato a metà estate 2017 ed è terminato a fine 2017.

Stavolta abbiamo usato una soluzione idroponica più adatta all’idroponica. In particolare abbiamo usato un fertilizzante tricomponente della Advanced Nutrients. Abbiamo anche cercato di usare l’acqua distillata o l’acqua di condensa del deumidificatore, al posto di quella di rubinetto.

Si osservino le numerose carenze nutritive. Non sembrava che la soluzione fosse così tanto sbagliata.. probabilmente il problema era causato dal fatto che per lunghi periodi i fagioli sono rimasti a chiuso a causa del forte vento. Ciò a probabilmente comportato un’insufficienza di radiazione ultravioletta. Infatti, non avevo pensato al fatto che gli spessi vetri delle finestre filtrano parecchio la luce, bloccando molti infrarossi e ultravioletti.

Esperimento 2: i peperoncini

Una specie non meglio identificata (forse diavolicchi?) e Carolina Reaper.

L’esperimento è iniziato l’anno scorso, ad Aprile 2018. Abbiamo comprato 3 secchi neri da 20 litri con tappo, su cui abbiamo praticato alcuni fori per permettere il passaggio dei tubi, del filo della pompa e i buchi di sostegno dei vasi a rete. L’esperimento è terminato a Febbraio 2019, quando il freddo ha ucciso la pianta. La temperatura della soluzione era scesa sotto i 4°C, danneggiando le radici.

Ecco una carrellata di foto. Non sono tutte perché quelle scattate con lo smartphone di Luca sono andate perse.

Grazie a questi esperimenti si imparano molte cose e quando si vedono i risultati è una soddisfazione! Quest’anno penso non ci saranno ulteriori esperimenti, ma probabilmente in futuro proverò a coltivare altre specie di piante.