• Autore:   Elia Argentieri
  • Ultima modifica:   21 nov 2022 15:21
  • Redazione:   6 giu 2019 15:04
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  • Tempo di lettura:   6 minuti

Sconosciuto: “Ciao come ti chiami?”
Io: “Mi chiamo Elia”
Sconosciuto: “Ok ti aggiungo su Facebook”
Io: “Non sono su Facebook”
Sconosciuto: “Cooooosa?!? Ma com’è possibile?!? Dai iscriviti, ma perchè non l’hai già fatto?”
Io: “Perchè Facebook, anche detto Big Brother, è un servizio di rete non etico”
Sconosciuto: (✖╭╮✖)

Sempre più spesso mi tocca sopportare questo tipo di discussione. Quando si tratta di Facebook, quando di Instagram, quando Whatsapp e chi più ne ha più ne metta.

Mi ricordo che, quand’ero ancora alle medie, un mio amico mi invitò ad iscrivermi su Facebook dicendomi che si trattava di qualcosa di eccezionale. Forse non mi ero ancora iscritto perché avevo già intravisto il potenziale marcio, comunque quell’invito fece si che mi iscrissi.

Iniziai ad aggiungere i miei amici, i compagni di classe, i conoscenti. Già qui mi sarei fermato volentieri: non facevano altro che scrivere roba inutile, frasi ipocrite e discorsi pieni di filosofia spicciola. Avrei dovuto perdere tempo a leggere della roba che non mi interessava. Cosa c’avrà mai visto di bello quel mio amico? Penso di conoscere la risposta, ma il fatto è che io non sono così… Un giorno mi arrivò una richiesta inaspettata: la mia prof di italiano che in quel momento odiavo, voleva aggiungermi su Facebook… No, questo è troppo! Fu così che disattivai il mio utente per la prima volta. Eh si lo disattivai perché non era consentito cancellarlo e già questa la trovai una cosa strana perché non avevo mai trovato prima un sito che non permettesse la cancellazione dei propri dati. Già questo mi sembrava abbastanza ingiusto.

Dopo qualche anno, quando Google rilasciò Google+, io fui uno dei primi a iscrivermi. Pensavo che sarebbe stato diverso e cercai di convincere tutti ad abbandonare Facebook per passare su Google+. Un’arte, quella del convincere gli altri, che non mi è propria, devo dire. In effetti Google+ era diverso da Facebook, anzi a mio avviso migliore: aveva funzionalità più avanzate come le cerchie, un’interfaccia più pulita e, per finire, riuscivo a trovare molti più articoli interessanti. È qui che conobbi Federico Pistono, di cui vi ho già parlato in un vecchio articolo.

Dopo un anno o due, durante l’estate tra la quarta e la quinta superiore, ebbi il piacere di entrare in contatto con le strane idee di un uomo grasso e barbuto: il Dottor Richard Matthew Stallman. Ricordo che a quel tempo ero molto interessato a scoprire tutto e di più riguardo al “sistema operativo GNU/Linux” e al software libero più in generale.

Capii l’importanza della privacy, in un mondo dove è possibile raccogliere informazioni su una popolazione, analizzare i dati e ottenere ulteriori informazioni o previsioni utili per riuscire a guidare le masse. Oggi questo concetto mi è ancora più chiaro e gli effetti sul mondo di oggi sono sempre più visibili. Queste manipolazioni avvengono continuamente, in modo quasi inconscio per scopi di marketing, ma anche politici. Tale effetto, pericolo per la democrazia, è chiamato dai ricercatori Effetto di Manipolazione del Motore di Ricerca.

Così capii che anche Google+ soffriva degli stessi problemi di Facebook: tutti i miei dati erano in mano di Google. Potenzialmente si trattava di una minaccia anche peggiore dato il fatto che Google è anche il motore di ricerca più diffuso in assoluto, cioè un algoritmo che decide cosa farmi vedere in base al mio input. Più dati ha su di me e più informazioni può estrapolare. Informazioni che possono essere sfruttate anche a favore di terzi.

Fu così che mi cancellai pure da Google+. Tutto questo molti anni prima dei recenti scandali che stanno continuando a venir fuori periodicamente.

Spesso mi sono chiesto se fossi io il problema, perché alla fine

Facebook ti aiuta a connetterti e rimanere in contatto con le persone della tua vita.

Semplicemente fa quello che dice lo slogan. Sono io che sono paranoico…

Finchè un giorno sono incappato in uno studio scientifico dove viene individuata una correlazione tra depressione in adolescenza e l’uso di Facebook. Ma no, figuriamoci! Correlazione non è causalità.

Poi viene fuori che potenzialmente gli algoritmi di Google e Facebook sarebbero in grado di promuovere certi contenuti a discapito di altri, magari rafforzando una corrente politica vicina a certi personaggi molto, molto ricchi. Ma anche questa è una barzelletta e chi doveva vincere, la Clinton!?!

Facebook ha una funzione che consente ai suoi utenti di “taggare” una foto. Questo serve per costruire un’enorme archivio di dati che contiene coppie di foto e nomi. A questo punto una intelligenza artificiale, nemmeno troppo sofisticata di machine learning è in grado di imparare a riconoscere i volti di chiunque, semplicemente da una foto. Un po’ come i database che si vedono in TV alla NCIS. Ma anche questo va bene, anzi è utile.

Sempre più persone utilizzano le pagine Facebook per organizzare eventi e condividere informazioni utili per tutti, ma Facebook è sempre lì pronto a richiedere l’identificazione. E passiamogli pure questa.

Finiamo con un bel cavillo legle: tutte le foto caricate su Instagram diventano automaticamente di proprietà esclusiva di Instagram. È scritto nei termini di utilizzo del servizio. Weee! Ora basta questa non ve la passo, eh!

Tutto questo accentramento di potere non sarebbe possibile se, semplicemente, molta meno gente utilizzasse Facebook. Purtroppo però ciò non avviene in primis perché questi social vengono progettati e studiati in modo tale che la gente ci passi più tempo possibile (e questo spiega le varie dipendenze). Gli sviluppatori vedono le altre persone come “utenti”, non come persone. Ecco che si spiega anche come sia possibile che i big della Silicon Valley non concedono l’uso di smartphone e social ai propri figli. Poi c’è anche un fattore sociale, nel senso che viene fatta leva sulle necessità dell’individuo di comunicare e sentirsi accettato. Per finire c’è anche un effetto di rete, una mentalità del gregge che spinge l’individuo a conformarsi con i suoi simili, perché è più facile e richiede meno energie. Pensare e ragionare con il “sistema 1” è un’operazione estremamente dispendiosa che tutti i mammiferi (compreso l’uomo) si evita volentieri quando possibile.

Comunque sia credo che non si debba minimizzare troppo l’effetto della semplice e pura ignoranza delle alternative. Molto spesso questi argomenti vengono trattati o in modo molto superficiale, o senza offrire soluzioni o alternative. Mentre volge al termine, anche questo articolo è tragicamente destinato a cotal destino. Altro non resta che leggere il prossimo articolo, dove viene evidenziato che le alternative ci sono e sono pure in crescita.

A tra poco.