• Autore:   Elia Argentieri
  • Ultima modifica:   6 nov 2023 23:28
  • Redazione:   6 nov 2023 23:19
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In questi mesi ho avuto un po’ di problemi di salute che hanno prosciugato una parte significativa delle mie energie e mi hanno reso un po’ assente in ogni ambito: dal lavoro, da questo sito (anche se questo era vero anche prima dei problemi di salute), dagli amici, dal fediverse.

Quello che ho avuto e che sto tuttora avendo non è particolarmente grave, ma è stato comunque pesante da affrontare e non oso immaginare il peso che deve sentire chi invece è affetto da malattie ben peggiori e più gravi.

In questo quadro non splendente è andata ad insinuarsi l’ansia di cui soffro talvolta, andando a erodere ulteriormente le mie forze mentali più che fisiche.


Già in primavera 2023, ho iniziato ad avere una tosse secca stizzosa e persistente, compatibile con una tosse da reflusso gastroesofageo, di cui ho già sofferto in passato. Dopo un mese di terapia contro il reflusso la sintomatologia migliora, ma la tosse non scompare del tutto.

A metà luglio, mi accorgo che la sera ho una febbricola (temperatura del corpo intorno ai 37,5°C), accompagnata da un lieve malessere e stanchezza. Monitoro la situazione che inizialmente sembra in miglioramento e in risoluzione spontanea, per poi ripresentarsi dopo una settimana. A quel punto mi sono rivolto al dottore e ho iniziato una serie di accertamenti: urinocoltura e analisi del sangue.

L’urinocoltura era risultata negativa, ma l’analisi del sangue presentava evidenti segni di una infezione accompagnata da forte infiammazione. Visto che comunque la tosse rimaneva lì irrisolta, finalmente mi faccio una radiografia al torace, per scoprire che ci sono degli addensamenti disomogenei. Probabilmente ecco trovata la sede dell’infezione, quindi inizio una terapia antibiotica a base di cefalosporine, una classe di antibiotici ad ampio spettro, accompagnata dal fantastico cortisone (metilprednisone).

Dopo 6 iniezioni e 5 giorni di terapia orale, sembra che tutto si sia risolto. Faccio una seconda radiografia di controllo, dove gli addensamenti appaiono non attuali (quindi sono guarito…).


Non sospettando che avrei avuto ulteriori problemi, decido di sfruttare la settimana di ferie di fine agosto per farmi un bel viaggetto nei Paesi Bassi, dove purtroppo contraggo il COVID.

Dopo una settimana e più, per riprendermi dal COVID accompagnato da una tonsillite (evviva l’amoxicillina!), tutto sembra tornare nella norma, se non che dopo qualche giorno torna pian piano la febbricola serale.

Scoraggiato, torno dal mio dottore che mi fa fare una nuova radiografia, seguita da una TAC, che evidenzia di nuovo gli addensamenti disomogenei come in estate, aggiungendo che questo tipo di polmonite è compatibile con quello causato dai coronavirus. Prima ancora di eseguire la radiografia il mio medico mi prescrive un antibiotico che presenta molti effetti collaterali e io decido di non prenderlo, perché prescritto abbastanza a caso. Un altro dottore mi prescrive la azitromicina, che ci sta perché usata nei casi di covid con sovrainfezione batterica.

Volendo approfondire la questione, mi rivolgo ad un infettivologo che mi controlla anche mediante ecografia. Secondo lui si tratta di una polmonite virale che non necessita di ulteriori cure, quindi inizio a scalare il cortisone.

Il giorno dopo aver smesso il cortisone noto subito che qualcosa non va e inizio ad avere di nuovo la tachicardia. Sperando che fosse un lieve effetto di rimbalzo dovuto al cortisone, attendo qualche giorno, ma la faccenda si ripresenta tale e quale con la febbricola serale.

Molto scoraggiato e arrabbiato con il mio dottore, che non sembra in grado di gestire la situazione e non mi indirizza correttamente verso esami più seri, prenoto una nuova visita con l’infettivologo e una nuova visita pneumologica. Durante l’attesa della nuova visita ho avuto problemi con l’ansia e ho dovuto assumere un ansiolitico per calmarmi e dormire la notte.

Finalmente arriva il giorno della nuova visita con l’infettivologo che però rimane sulla sua strada, avanza l’ipotesi di long-COVID e mi prescrive altro cortisone e via. Sono sollevato dal fatto che il cortisone mi farà star meglio e riesco a ridurre l’ansia, però non sono totalmente convinto e decido di sentire una seconda opinione con la visita pneumologica.


Pochi giorni dopo vado alla visita pneumologica, e da subito vengo trattato con più cura e il mio caso non viene sminuito, ma viene rilevata la necessità di ulteriori approfondimenti. Il sospetto va verso una polmonite criptogenetica organizzata (COP), anche nota come bronchiolite obliterante polmonite in organizzazione (BOOP), una malattia autoimmune rara. Per arrivare ad una tale conclusione è però necessario eseguire una broncoscopia per arrivare ad una diagnosi differenziale (per escludere la pista infettivologica). Mi viene prescritta una terapia a base di prednisone più consistente, visto che la COP si cura così: con una lunga terapia di cortisone, per mesi.

Per procedere con la broncoscopia, ho dovuto fare un elettrocardiogramma con valutazione cardiologica, per escludere che la tachicardia avesse cause non amputabili alla polmonite e che la frequenza non superasse valori eccessivi durante l’esame. Non sono stati rilevati problemi cardiaci e la tachicardia è stata imputata almeno in parte all’ansia e ho quindi assunto un ansiolitico nei giorni precedenti all’esame.

Così due settimane fa mi sono sottoposto a questo esame invasivo che consiste nel passare un endoscopio a fibre ottiche attraverso la bocca (o il naso, ma a me non è toccato), giù nella trachea e fin nei bronchi per osservare e prelevare campioni, dopo aver eseguito un lavaggio. Ovviamente il tutto condito con una buona sedazione e anestesia locale. Non ricordo quasi nulla dell’esame, mi sono addormentato e poi ho un paio di ricordi: i tubicini dell’endoscopio e io che tossisco nell’altro mondo dei sogni.

Avanti col cortisone a tutta forza, la febbricola sparisce e la tachicardia si riduce di molto e sto di nuovo meglio. Si aggiungono un po’ di effetti collaterali dovuti al cortisone tipo nervosismo e poco sonno la notte.


Oggi, dopo due settimane, ho ricevuto il referto della broncoscopia da cui risulto positivo allo Staphylococcus aureus o stafilococco aureo per gli amici. Questo batterio è resistente a tutti gli antibiotici che ho assunto nei mesi passati (cefalosporine, penicilline e azitromicina) e quindi ben ci sta che sia lui la causa di tutto questo problema.

La vita è così: mi è stato prescritta la levofloxacina, l’antibiotico che non ho voluto prendere quando il mio dottore me lo aveva prescritto… se l’avessi preso avrei risparmiato del tempo, ma in quel momento non sapevamo che cosa avessi e mi sembrò un’altra la decisione giusta.

Purtroppo la positività allo stafilococco aureo non esclude che io abbia comunque la COP oltre all’infezione batterica, ma ovviamente spero proprio che non sia questo il caso.


In questi mesi me ne hanno dette di tutti i colori: infezione batterica, poi virale, poi long COVID, poi sospetta polmonite criptogenetica organizzata e ora siamo di nuovo a bomba con i batteri.

Una serie di diagnosi sbagliate avvallate da nessun esame diagnostico. Antibiotici a caso senza antibiogrammi. Cortisoni abbinati a antibiotici così che non si capisce se ha avuto effetto l’uno o l’altro.

Almeno ora ho un risultato basato su dati oggettivi, sempre sperando che non sia un falso positivo e che non siano più malattie sovrapposte.

Non resta che sperare che questa sia la volta buona 🤞 e non temete, prometto che il prossimo articolo vi risolleverà l’animo.