• Autore:   Elia Argentieri
  • Ultima modifica:   23 gen 2021 16:45
  • Redazione:   19 mag 2018 00:45
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Se vi ritenete ambientalisti o esperti di energia vi consiglio caldamente la lettura del libro “Energia e Futuro: le opportunità del declino” (ISBN: 978-88-307-2008-4), scritto da Mirco Rossi che è membro di ASPO Italia, sezione italiana di ASPO International.

ASPO sta per “Association for the Study of Peak Oil”, cioè “Società per lo Studio del Picco del Petrolio”.

Visto che ci sono vi consiglio di guardare anche alcuni video che riguardano questi argomenti:

Il picco lo possiamo definire come il punto massimo di capacità produttiva o di produzione di qualsiasi risorsa finita presente sul pianeta.

È bene notare che il problema non è l’esaurimento del petrolio (è difficile se non impossibile prevedere quando succederà…), bensì il raggiungimento e il superamento della capacità produttiva massima.

Un parametro di veramente basilare quanto di fondamentale importanza nella fisica e nell’ambientalismo è l’ERoEI (Energy Returned on Energy Invested) o EROI (Energy Returned On Invested). Ovvero il rapporto tra l’energia ottenuta e l’energia che ho investito per ottenerla.

Esiste un rapporto di causa-effetto tra ERoEI e il picco produttivo: prima ci siamo mangiati tutta la parte facile da estrarre, adesso ci avviciniamo sempre più a rosicchiare le ossa.

Durante gran parte del Novecento l’EROI del petrolio era molto elevato: bastava scavare una buchetta in terra a caso e se eravamo fortunati una fontana di petrolio era pronta a sgorgare libera sulla superficie. Oggi l’EROI è molto più basso: per ottenere il petrolio e, quindi l’energia di cui abbiamo tanto bisogno, è stato necessario costruire immensi impianti di estrazione in mezzo al mare o all’oceano per prelevare il petrolio fino a 9600m di profondità nelle regioni polari. Come esempi vedi Kashagan e Deepwater Horizon.

Le prime avvisaglie le abbiamo già viste alcuni anni fa, proprio in Italia, un paese che dipende quasi esclusivamente dall’importazione di idrocarburi dall’estero.

Petrolio, gas naturale e carbone sono risorse fossili che si sono formate nel corso degli ultimi 270-250 milioni di anni fa, grazie ad un mix di materiale organico vegetale (piante e alghe) e animale (plancton) che è stato “digerito” da batteri anaerobici. Questo processo lunghissimo ha permesso all’energia solare, catturata dalla fotosintesi clorofilliana, di condensarsi sotto forma di energia chimica all’interno degli idrocarburi. Ed è proprio per questo che gli idrocarburi sono considerati una fonte di energia non rinnovabile: su scala umana deve passare un tempo lunghissimo (centinaia di milioni di anni) affinché si rigeneri ciò che stiamo consumando in modo sfrenato.

Di conseguenza il petrolio e tutti gli idrocarburi che estraiamo dalle profondità della Terra, sono in quantità finita. Per tanto arriverà il giorno in cui non ce ne saranno più a sufficienza per continuare il nostro stile di vita “occidentale”, basato sulla crescita continua e esponenziale.

Anche l’energia nucleare ha gli stessi problemi di picco dell’uranio, al quale si aggiungono altri problemi. A partire dalla pericolosità degli impianti nucleari al difficilissimo e costosissimo problema dello smaltimento delle scorie radioattive e materiale contaminato.

Un altro punto fondamentale è che la produzione di un qualsiasi oggetto richiede un processo di lavorazione che, direttamente o indirettamente, comporta un degrado dell’energia utilizzata che risulta spesa per sempre e mai più recuperabile, neppure con il riciclaggio.

Infatti, citando Wikipedia: il secondo principio della termodinamica può essere così riscritto:

ogni volta che una certa quantità di energia viene convertita da una forma a un’altra si ha una penalizzazione che consiste nella degradazione di una parte dell’energia stessa in forma di calore. Questa parte non sarà utilizzabile per produrre lavoro.

Oppure come scrive Mirco Rossi in modo più eloquente:

[…] l’idea che permette di guardare ogni oggetto sotto un nuovo e inedito punto di vista, scientificamente impreciso, ma assai chiarificatore: la definitiva “tomba” di una certa quantità di petrolio, di carbone, di gas o di elettricità.

Questo punto è vitale per capire la criticità dell’esaurimento delle risorse energetiche e della ricerca di alternative.

Tante sono le alternative proposte agli idrocarburi: dalle rinnovabili al nucleare, dal biodiesel alle biomasse. Purtroppo niente ci fa pensare che tra queste fonti alternative ci sia una soluzione definitiva. Nessuna di queste presenta le stesse caratteristiche degli idrocarburi: alta densità di energia su richiesta. Purtroppo è su questa caratteristica che si basano tutti i processi industriali di oggi.

A questo punto c’è chi si lava le mani usando come sapone una qualche tecnologia salvifica del futuro. Ebbene tale tecnologia oggi non c’è e quando domani ci sarà, potrebbe essere troppo tardi.

Ad un certo punto quel che avverrà sarà inevitabilmente una decrescita forzata, che destabilizzerà gran parte della popolazione che sembra non capire che lo stile di vita attuale non è sostenibile. Non basta il riciclaggio. Non basta sostituire il petrolio con le rinnovabili o con il nucleare. Non basta l’auto elettrica, né tanto meno l’idrogeno. Non ci sono soluzioni semplici.

Piuttosto è necessario ridurre drasticamente tutti i consumi per permettere alle generazioni future di poter produrre siringhe di plastica (molte plastiche sono derivate dal petrolio). L’unico modo per far ciò è abbandonare definitivamente il consumismo e l’enorme spreco energetico che comporta. È necessario che quante più persone possibile comprendano questo problema, ne diventino consapevoli ed inizino la loro personale guerra contro il consumismo.

Questo ci riporterà all’era della pietra? Niente affatto! Ad esempio l’autore ci ricorda che nemmeno 50 anni fa la maggior parte della popolazione italiana viveva in modo molto diverso: una vita sobria e senza sprechi. Certamente è possibile continuare l’evoluzione della specie senza distruggere ciò che è stato costruito fino ad oggi.

Il libro tratta in dettaglio tutti questi argomenti e rappresenta quella che dovrebbe essere la conoscenza di base dell’ambientalismo. Purtroppo i mass-media e l’istruzione non riescono affatto nel loro lavoro di diffusione dell’informazione e l’analfabetismo su questi temi continua a prevalere ovunque.

PS: Tuttavia è bene ricordare che, in questi casi, le azioni individuali hanno un effetto limitato se non addirittura trascurabile. Quel che è veramente necessario è un cambiamento sociale sistemico. Come ci arriviamo? C’è chi ci prova politicamente e chi non crede più alla politica… dovremo attendere l’evoluzione… non sarà facile… e non è nemmeno detto che faccia in tempo…